Nata a Velletri il 9 febbraio 1974, dopo pochi giorni viene trasferita ad Aprilia (Lt) dove tuttora risiede. All’età di dieci anni inizia lo studio della danza classica che abbina, nel corso dell’adolescenza, a quello di altre discipline coreutiche; l’amore per la danza contrassegnerà sin da subito il percorso di scrittrice e gli elementi salienti la sua poetica.
Terminato il Liceo Classico, frequenta a Roma la facoltà di Scienze Statistiche ed Economiche e, laureata, intraprende la professione di consulente aziendale.
Nel 2008 si avvicina alla scrittura per metabolizzare il dolore per la perdita della nonna materna; inizia a spremere parole girovaghe in fazzoletti di spazio, per poi limarle ed incanalarle, solo apparentemente, in una direzione unica.
Co-fondatrice di un’associazione sportiva dilettantistica nel settore danza, abbina allo studio l’insegnamento della danza classica.
“Dare voce ai gesti” è il punto fermo dei suoi componimenti.
In perenne ricerca della contaminazione, il corpo e la materia sono il filo conduttore dei suoi scritti che tende a portare al limite della dissacrazione.
Veruska intende la poesia come quella fisicità che le calza addosso senza grinze ma è anche l’inciampare distratto dei sogni, il raccogliere e conservare bislacche tracce che essi lasciano lungo la strada del tempo.
Dal 2010 partecipa a concorsi letterari sia nazionali che internazionali, ottenendo ottimi piazzamenti, tra cui spicca il secondo posto al “Premio Gianfranco Rossi per la giovane letteratura” organizzato dal Gruppo Scrittori Ferraresi, il quinto posto (“Memorial Alessandro Lisbon”) alla VII edizione del Concorso Internazionale “Carmelina Ghiotto Zini” organizzato dall’Associazione Culturale ed Artistica “L@ Nuov@ Mus@” di Aprilia; Premio speciale della giuria alla IX Edizione del Premio Artistico Letterario Internazionale “Napoli Cultural Classic”; terzo posto alla XXIX edizione del Concorso di Poesia: “Antico Ottorino ed Elisa Benvegnù Ortu” organizzato dal Comune di Pontelongo (Padova), primo posto sez. over 31 al VII Concorso Nazionale di Poesia “Chiaramonte Gulfi-Città dei Musei”, segnalazione alla I Edizione del Premio Nazionale di Poesia “Terra di Virgilio” (Comune di Mantova), primo posto al XVIII Concorso di Narrativa e Poesia “Laghese”.
A giugno 2015 è stata insignita della Medaglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri al Concorso Letterario Internazionale “San Maurelio” di Ferrara.
Di recente è stata coinvolta in giurie di concorsi letterari e collabora con associazioni culturali del territorio nella creazione di eventi e reading poetici. La si può trovare spesso a “prestare la voce” ai poeti del Caffè Letterario “Mameli27” – Roma, in compagnia dell’amica Patrizia Portoghese.
Instancabilmente curiosa, spazia tra le varie arti in una continua linea di ricerca; ha frequentato un corso di dizione e recitazione e attualmente un corso di scrittura creativa.
E’ attiva la sua pagina facebook “Frammenti di Crisalide – poesie di Veruska Vertuani” ed il blog www.sciabordarte.it, in cui è presente una sezione foto-poetica nata dalla collaborazione con il fotografo piemontese Paolo Pavan, autore della foto di copertina della silloge.
POESIE
L’infinita danza
Immergermi
nelle pozzanghere
degli occhi che hai
è avventura ancestrale.
Quei tunnel bordati di cielo
sono scivoli tra le anse
delle tue emozioni,
scorciatoie nel percorso
inverso al fluire dei miei anni.
Con guance di bimba
mi tuffo tra le tue dita,
ai capelli lego
un tuo gesto e ancora un altro.
Ti bacio i solchi
della vita,
la mia risata frizzante di tramontana
gonfia le lenzuola
della maturità
e le soffia via.
Bambino anche tu
iniziamo una danza infinita
cancelliamo i passi dell’altro
con impronte fatte di
mille possibilità.
Bendarti lo sguardo
con fili di pentagramma
è come un laccio emostatico
che imprigiona il dolore.
La pescatrice di nuvole
Non mi è concesso volare
se non con la pazzia
che mi cadenza i giorni
mentre voi partite,
arrivate, mi passate accanto
con ali sontuose e folte.
Le mie sono due mozziconi
aggrappate alla schiena,
moncherini, resti rimasugli
la negazione di ciò che è intero, insomma.
Stuzzico unghia con unghia
e viene via un’eco di cielo
che rubai ad un binario in corsa
o scivolò ad una valigia distratta.
-Mi dichiaro “Non colpevole”-
Per i miei stracci sono regina,
obbediscono alle mani
che frugano in bolle di plastica
e laceri carezzano ferite.
Voi che vi vantate di fare “il cambio di stagione”
siete piccola cosa
voi che ridete del mio blaterare sdentato
siete piccola cosa
voi che gettate le nuvole come fossero avanzi in agonia
siete piccola cosa.
Io che le pesco, le riempio con la mia vita, fino a incrinarle
io sì, che sono gran cosa.
Ogni tramonto che resta
C’è un sobbollire di rughe
sulla tua spalla di padre
e il mio orecchio s’adagia
su queste corde d’arpa
pregne delle nenie d’un tempo.
Stringo negli occhi
il profumo di passeggiate,
serro le ciglia
perché la luce non bruci
il fotogramma del nostro giocare.
Se poggio la fronte alla tua tempia
sgrano il futuro dal suo baccello,
sono un seme d’uomo, marito, padre
cosparso sull’humus
di rispetto e tradizioni,
disperso ma mai perso.
Stiamocene così
per un domani ancora
con la sabbia che pretende la pelle
e la forgia in clessidra, per rotolarci
ogni tramonto che resta.
Libera, così
Guardavo il fuori
ad altezza del suo orizzonte
gravida di frammenti di crisalide,
parassita del vetro
su cui vociavano stagioni.
Il sole, capace d’addomesticare gli occhi
i fili di pioggia, perle partorite dal lamento di ostrica
poi… il vento
pregavo mi spuntassero le mani
a cullargli la ninna nanna.
La ringhiera ossidata
dai rigagnoli di piante senza più midollo
era la mia ora d’aria,
fantasticavo sulle insenature
di quei muri a secco
domandandomi se mai
fossero stati pelle.
Sento l’alleggerirsi d’ossa
nel brivido rintocco di clessidra.
L’ultimo sforzo di tumulare la rinuncia
ha il sudore del destino
e con le ali disegnate di fantasia
valico il mondo conosciuto
per schiudermi in te.
La casa intorno al vaso
Mi piace sentire la spina arrivare addosso
e non rifuggo la bonaccia che lecca via gli scampoli.
Ammiro l’equilibrio delle foglie a pelle d’acqua
ridotte in vaso da sentenze di acciaio
ecco perché t’ho fermato il petto e mi sono chinata
in cerchi concentrici, a intonare loro l’eutanasia.
Che ne sai tu, non c’eri mai
nelle prigioni di capelli
che mi facevano lavare la fronte sulle ginocchia.
Stiracchiavo i sogni
e le foglie i loro bordi
prendevano fiato con la legge di Archimede
e poi giù, cagliate nell’acqua.
La mia poppata era dei colori del cielo, riflesso in un cristallo.
Dietro di me
ti abbassi e mi carezzi un grimaldello sul collo.
Riesco, posso e voglio
sentirti negli intenti di una nenia
come rosa che evapora a circuirmi i lobi.
Sai di velluto e tannino.